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9.12.13

Il male - recensione di Paola C.


IL MALE
di Massimiliano Santarossa
Hacca edizioni - novembre 2013

LIBRO
Il male racconta il delirio, le ossessioni, le perversioni, le distorsioni della nostra società postmoderna, attraverso una potente metafora narrativa, tra immaginario e reale.
In un viaggio nelle viscere delle nostre città, Lucifero il principe delle tenebre, il figlio di luce nera, descrive la moltitudine di periferie abbandonate, gli innumerevoli luoghi di perdizione, le profonde paure dei dannati in vita, e tutto questo attraverso gli occhi e la pelle di dieci anime fragili, sconfitte, crollate. Il principe di luce nera, senza mai intervenire o apparire, vivrà e subirà il male in terra compiendo un vero viaggio ad infera, alla scoperta di cosa l’uomo moderno è in grado di fare. Al termine rimarrà la visione di un inferno terrestre ben più atroce, violento e osceno degli inferi stessi, e il peso insopportabile di una profezia svelata.
Dalle pagine del romanzo escono come un fiume in piena le voci, i volti, le situazioni che dipingono il ritratto sconvolgente di una società in frantumi, tutto con uno stile narrativo incredibilmente visionario e allo stesso tempo realista.
Il male, un romanzo che capovolge le nostre sicurezze, che rimette in discussione i luoghi del bene e del peccato, l’inferno e il paradiso, il reale e l’irreale.

RECENSIONE
Se è vero che ci interessa prima di tutto l'atmosfera di un libro, lo stile della scrittura, il ritmo, la musicalità delle parole, allora Santarossa ha fatto centro, anche con questo romanzo visionario e ardito. Lucifero, il protagonista, entra ed esce dalle vittime del male, come un'entità trasparente che porta con sé le domande che chiunque si fa, sulle ragioni della sofferenza umana e persino animale.
Si ha l'impressione che Santarossa voglia fare un balzo in avanti nel suo percorso di scrittore, raccontando una meta-realtà con un meta-linguaggio iperrealista. Un passo ulteriore rispetto alle ambientazioni dei romanzi precedenti, che erano molto più radicati nella realtà delle nostre periferie urbane ed antropologiche.
Quando Santarossa avrà decantato questa nebulosa, potrà regalarci quella felice sintesi tra materia e spirito che sembra essere la cifra innovativa più coinvolgente della sua scrittura.
Paola C.

6.11.13

STONER... NON IL PILOTA!

STONER
di John E. Williams
Fazi editore


Traduzione di Stefano Tummolini
Postfazione all’edizione italiana di Peter Cameron

Pubblicato per la prima volta nel 1965, poi quasi dimenticato, Stoner di John E. Williams è stato ripubblicato nel 2006 dalla New York Review Books, suscitando un rinnovato interesse da parte della critica e dei lettori.
 
•LA STORIA:

Stoner è il racconto della vita di un uomo tra gli anni Dieci e gli anni Cinquanta del Novecento: William Stoner, figlio di contadini, che si affranca quasi suo malgrado dal destino di massacrante lavoro nei campi che lo attende, coltiva la passione per gli studi letterari e diventa docente universitario. Si sposa, ha una figlia, affronta varie vicissitudini professionali e sentimentali, si ammala, muore. E’ un eroe della normalità che negli ingranaggi di una vita minima riesce ad attingere il senso del lavoro, dell’amore, della passione che dà forma a un’esistenza.
 
•L'AUTORE:

John Edward Williams (1922-1994), nato in Texas da una famiglia di contadini, partecipò alla seconda guerra mondiale in India e Birmania. Al suo rientro si trasferì a Denver, in Colorado, dove rimase tutta la vita insegnando all’Università. Oltre a Stoner è autore di tre romanzi: Nothing but the night(1948), Butcher’s Crossing (1960, di prossima pubblicazione da Fazi Editore) e Augustus (Castelvecchi, 2010), vincitore del National Book Award.
 
•RECENSIONE:
Fin dalle prime pagine si prospetta la storia di una vita piatta, triste e priva di qualsiasi avvenimento significativo. In effetti è proprio così che appare la vita di William Stoner, nato da agricoltori in un paesino degli Stati Uniti, benchè la narrazione inizi con una grande speranza di sdoganare il proprio destino grazie al salto di livello sociale che riesce a fare, diventando professore. Ma gli anni passano all'insegna di una condizione di fondo che non cambia, nemmeno quando, dopo anni di infelicità matrimoniale, arriva un amore grande che lo travolge. Ma il peso di una “normalità”di provincia tarpa le ali anche a questa possibilità.
Allora ci si chiede (e bene lo fa Peter Cameron nella postfazione), cosa c'è in questo romanzo che ci tiene legati alla lettura?
La commozione, quel sentimento che ci fa sperare con lui e per lui, che ci fa sentire così tanto lui.
“La vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria.” (P.Cameron, pag.327).
Questa commozione è il miracolo della scrittura di questo John Williams, nato in Texas nel 1922, morto nel 1994, professore universitario, schivo e incline a stare dietro le quinte, un personaggio che oggi sarebbe l'esatto contrario di quelli che strombazzano quotidianamente le loro opere sui media.
Paola C.

 
«Stoner è una storia perfettamente costruita, di un gelido matrimonio e di un disperato amore universitario; si è così vicini all’infelicità del protagonista che si ha paura di respirare»
Nick Hornby

«Questo è semplicemente un romanzo che parla di un ragazzo che va all’università e diventa un professore. Eppure è una delle cose più affascinanti che potrete leggere».
Tom Hanks

«Stoner è uno dei grandi classici della letteratura americana del XX secolo. Dimenticarlo sarebbe imperdonabile. Consentirgli una nuova vita e continuare a leggerlo significa consentire a noi stessi la capacità di comprendere insieme passato e presente. Stoner è un’aria del nostro tempo».
Colum McCann

«Il ritratto magistrale di un uomo autenticamente virtuoso».
The New Yorker

«Questa è grande arte».
Le Figaro
 
«Stoner è qualcosa di più raro di un grande romanzo – questo è un romanzo perfetto, così ben narrato, con una lingua superba e così profondamente toccante da levare il fiato».
Morris Dickstein, The New York Times  

24.8.13

OMAR DI MONOPOLI • SANGUE PUGLIESE

Resistere.
Resistere alla disperazione, alle percosse dell'anima.
Resistere ai soprusi, alla violenza, alla solitudine, ad una realtà che non è in grado di dare felicità. 
Resistere ad uno Stato che spesso dimentica i suoi cittadini nelle terre del Sud... 

Sono romanzi potenti quelli di Omar Di Monopoli. Entrano nella carne come una pistola che finisce il suo caricatore. Proiettili che si insinuano nel cervello, che fanno sanguinare la coscienza. Non si rimane indifferenti dalle parole dello scrittore pugliese. I pensieri non si fermano dopo la lettura dei suoi romanzi. I pensieri corrono incontro alla follia, alla desolazione di Torre Languorina, alle lotte di un custode di un parco naturale, alle efferate azioni di Pellicano, un boss mafioso e senza scrupoli. Con uno sguardo profondo su un'Italia che spesso l'opinione pubblica dimentica, Di Monopoli coglie le piaghe oscure dell'animo umano. I suoi libri si caratterizzano per le trame dei vari personaggi che si intrecciano magistralmente in un connubio di mistero, suspence ed azione. Ogni descrizione è come un intaglio fatto ad arte sulla pietra, è come la riproduzione fedele dello stato d'animo dei personaggi, come se la vita giocasse a dadi col Destino facendo credere ai personaggi che le loro  scelte siano in grado di cambiare il corso degli eventi. Nelle opere sembra che ci sia l'ombra incombente del Fato che muove i fili invisibili dell'esistenza. 
Questi tragici eroi  non riescono a trovare pace. Cercano qualcosa... Un'utopia, un sogno che assume i contorni di gigantesche illusioni. Sono spietati, poveri, ignoranti, disgraziati che non riescono a trovare la strada giusta verso la Luce. L'oscurità li avvolge lasciandoli in preda ai loro tormenti, alle loro paure. Camminano nel buio correndo disperati verso il miraggio di una pace interiore. Valgono solo le leggi della strada. Il sangue scorre a fiumi. Pistole e fucili sostituiscono le parole. Spari e cadaveri, sangue sparso sui selciati dimenticati da tutti.

In Uomini e cani il potere fa ciò che vuole. I soldi comandano e i politici invece di protestare scodinzolano annusando nell'aria l'odore del successo, del potere, della gloria. Don Titta, un boss mafioso, non conosce la legge dello Stato. L'unica legge che conosce è quella della strada. I patti, l'onore devono essere rispettati. Non importa che cosa sia la Giustizia. Don Titta conosce le sue pecorelle. Ordina di uccidere, costruisce palazzi in barba alle leggi, al rispetto ambientale, alle norme di sicurezza.

In Ferro e Fuoco il Pellicano non si preoccupa dei suoi schiavi. Li considera alla stregua di animali da soma. Rumeni, nigeriani fa lo stesso. Loro sono venuti in Italia per lavorare. Se poi si spaccano la schiena tutto il giorno per raccogliere pomodori non sono problemi che lo riguardano.

Nelle opere appena citate sono le facce oscure del Potere che prendono vita. Vivono in una terra dove la dignità umana, la libertà, il rispetto della legge sono ideali che non servono per fare soldi. Conta prevaricare, conta la lotta, conta l'onore. Non importa se le guerre tra mafiosi lasciano morti sulla strada. Non importa se degli immigrati lavorano con uno stipendio misero. Non importa. Ciò che conta è rispettare il potente. Non mettere i bastoni fra le ruote al Capo. Non fiatare, non urlare, non reagire.  Appena la sommossa esplode arrivano le minacce, i soprusi e ancora la violenza.
Esiste però in questo mondo di crudeli assassini la compassione. Sono difficili da comprendere le atrocità commesse da Pietro Lu Sorgi, un povero anziano che in “Uomini e cani” difende a tutti i costi la sua casa perché non vuole lasciare  che la sua terra diventi una riserva naturale. Commette atrocità, omicidi, si nasconde nel buio di una tana per non farsi prendere dalla polizia. Ma i suoi atti crudeli fanno capire al lettore che dietro ad ogni violenza esiste un disperato bisogno d'Amore, di conforto, di appoggio. Dietro alla violenza ci sono emozioni taciute, muri mai abbattuti, problemi irrisolti. Dietro alla violenza è necessario uno sforzo compassionevole che l'essere umano non è ancora stato capace di raggiungere perché , in fin dei conti, siamo animali che si ammazzano ...Per che cosa poi? Per il Potere? Per il Denaro? No... ci ammazziamo solo per un pugno di mosche. L'unica cosa importante è la compassione  perché anche i cani hanno bisogno di carezze, di affetto e anche un po' d'Amore.
Jader Girardello 

2.7.13

GOSPODINOV: IL BULGARO CHE SORPRENDE


Classe '68 GEORGI GOSPODINOV nasce a Jambol (Bulgaria).
È poeta e prosatore innovativo e raffinato, uno dei più noti e promettenti autori bulgari che, grazie all'editore Voland, possiamo conoscere e leggere qui in Italia.

Di suo è stato pubblicato:

•Romanzo naturale
•Fisica della malinconia
•... e altre storie
__________________________________________________________________________

... e altre storie
G. Gospodinov
Voland | pagg. 110 | € 12,00

Letto e commentato per noi da Paola C.

Ci fa immergere nel mondo balcanico, nelle storie fantastiche e allo stesso tempo realistiche, quelle parabole che provocano smarrimento e ci costringono a riflettere. Racconti brevi e intensi. La voce di un maiale mentre viene sgozzato potrebbe essere il manifesto degli  animalisti. Storie di treni e stazioni, con personaggi simbolo del percorso accidentato della vita. La mosca dei pisciatoi tedeschi, perfetta funzione pratica. L'embrione umano che e' come  un occhio che spia.  Una bella rivelazione, questo scrittore bulgaro raffinato e innovativo!

"Solo le mosse inutili risultano vincenti."











6.5.13

UN GRANDE CLASSICO DA CONSIGLIARE

LA PORTA
di Magda Szabò
Einaudi



LIBRO

È un rapporto molto conflittuale, fatto di continue rotture e difficili riconciliazioni, a legare la narratrice a Emerenc Szeredás, la donna che la aiuta nelle faccende domestiche.
La padrona di casa, una scrittrice inadatta ad affrontare i problemi della vita quotidiana, fatica a capire il rigido moralismo di Emerenc, ne subisce le spesso indecifrabili decisioni, non sa cosa pensare dell'alone di mistero che ne circonda l'esistenza e soprattutto la casa, con quella porta che nessuno può varcare. In un crescendo di rivelazioni scopre che le scelte spesso bizzarre e crudeli, ma sempre assolutamente coerenti dell'anziana donna, affondano in un destino segnato dagli avvenimenti piú drammatici del Novecento.
Pubblicato in Ungheria nel 1987, ma in qualche modo disperso negli anni della transizione politica, La porta è il romanzo che ha rivelato la piú grande scrittrice ungherese contemporanea.


RECENSIONE

Ungheria, approssimativamente metà degli anni sessanta.
L'esistenza agiata e apparentemente lineare di una scrittrice di successo viene stravolta allorché nella sua vita entra, prepotentemente, Enmerenc, un'anziana donna che presta servizio come governante "tuttofare".
Visto dagli occhi della scrittrice, ci viene raccontato, attraverso episodi di vita quotidiana, e reminiscenze della vecchia governante circa il suo passato, che si svela a poco a poco non senza mantenere un alone di mistero, il rapporto tra queste due donne per un periodo di circa vent'anni. Fino alla tragica conclusione.
Ciò che sin da subito si percepisce è che rispetto ai canoni sociali precostituiti le posizioni sono completamente stravolte, chi comanda il gioco, sia sul piano dei sentimenti che della realtà pratica, è la vecchia donna, figura enigmatica e con un alone di mitologia.
La scrittrice perde via via le sue più salde certezze, tutto le viene messo in discussione, dalle convinzioni religiose al valore superiore della sua professione, alla sua stessa capacità di provare sentimenti positivi, al dubbio di non essere comunque mai in grado di operare delle scelte che la portino oltre l'ostacolo del proprio egoismo e della propria meschinità.
E alla fine persino il lettore proverà compassione e rispetto per Emerenc, coinvolto nella sua visione pura del mondo, condannando metaforicamente la protagonista narrante alle sue tristezze e alla sua solitudine.
E' un libro in cui l'autrice sembra volersi infliggere l'estrema punizione per la propria inettitudine, cercando probabilmente l'estrema consolazione della catarsi.
Confessando la propria debolezza, l'incapacità di andare oltre a manifestazioni dei propri sentimenti formali ed artefatte, l'intima convinzione di sapere quale sia la cosa giusta da fare senza riuscire mai a metterla in pratica, l'autrice trova finalmente consolazione, ben conscia che le apparentemente solide e motivate giustificazioni ai suoi comportamenti, che il resto del mondo sembra accettare e anzi ha contribuito ad erigere, da sole non sarebbero bastate a darle finalmente pace.
Simone Dato


ATTI MANCATI • M. Marchesini

ATTI MANCATI
di MATTEO MARCHESINI
Voland edizioni



LIBRO

Nel cuore di Bologna, Marco, trentenne diviso tra le incombenze giornalistiche e il tentativo di finire un romanzo, vive in una solitudine cocciuta e il più possibile asettica, fino a quando ricompare Lucia, la ragazza che lo ha lasciato qualche anno prima. Ora Lucia cerca Marco, lo assedia e lo porta in giro per paesi e campagne, a visitare i loro luoghi di un tempo, a ritrovare gli amici vivi e gli amici morti. Tra Bassa e Appennini, tra cliniche e osterie, Lucia – come una fragile ma tenace erinni – costringe Marco a rianalizzare le zone più oscure del loro passato.
Atti mancati è una storia d’amore e di suspense. È una parabola sul tempo trascorso ostinatamente a occhi chiusi e su quello vissuto a occhi spalancati. È il referto di una malattia, steso con furore analitico e insieme con uno stile semplice, da presa diretta.


RECENSIONE
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Atti mancati è un libro che fa riflettere. È una storia che scivola via come una goccia che si posa su un vetro e che cade a terra nel silenzio del mondo. “Atti mancati” vive di pause, di respiri appena accennati, di immagini sfuocate. È un ritratto sbiadito di un uomo che fatica a vivere, che si rifugia nel mondo della scrittura soccombendo alla realtà che lo circonda. Marco, il protagonista,  coltiva un amore che a stento fatica a far crescere. Si ritrova solo davanti a pagine bianche che tenta di riempire con il suo talento. Ma il vuoto permane senza che la parola scritta lo soddisfi pienamente. Lucia, la sua ragazza, vuole un uomo sicuro, pronto a prendersi le sue responsabilità ritrovando nella vita di coppia pace e felicità. Marco non sceglie il grande passo. Si rintana nelle sue riflessioni complicate sulla letteratura, sulla poesia, sul ruolo degli intellettuali nella frenetica società odierna. Preferisce appartarsi nel suo guscio senza uscire allo scoperto. Non vuole ferirsi. Poi la doccia fredda. Lucia lo lascia. Marco si ritrova allora ad affrontare il peso della solitudine. Una solitudine che lo lascia in un'apatia costante privandolo di slancio, di forza vitale. Il destino però bussa alla sua porta. Lucia entra di nuovo nella sua vita. Rompe il suo guscio fatto di abitudini noiose e stancanti. Lucia lo riporta alla vita. Lucia lo costringe a ricordare, a fare i conti con il suo passato, ad immergersi negli eventi di amicizie che si sono perse nel corso del tempo.
Lucia lo provoca, lo scuote perché vuole rivivere attimi di una memoria ormai sbiadita e dimenticata. Per lei il tempo diventa prezioso perché l'attesa è il veleno del presente, il male che la divora, la rinuncia alla vita. Lucia vuole assaporare la nostalgia. Vuole indagare e chiarire il passato per non avere più dubbi ne incertezze, per non avere conti lasciati in sospeso, per essere di nuovo felice nel suo presente anche se segnato da un'ombra che avanza minacciosa. Marco vive l'angoscia di doversi riguardare allo specchio. È costretto a fare dei bilanci della sua vita anche se si è cristallizzato nella sua bolla di pensieri.
Atti mancati procede a rilento. Vuole entrare nei meandri della memoria per ripercorrere, passo dopo passo, ogni scena determinante della vita dei protagonisti. Nel romanzo manca  dinamismo. Le riflessioni e le conversazioni con l'intellettuale Pagi, amico di Marco, bloccano il flusso narrativo impedendo al lettore di immergersi completamente nella storia. È un romanzo troppo cerebrale. Anche se ben scritto e con una prosa di notevole pregio artistico, Atti mancati risente di un intellettualismo letterario che nuoce alla storia privandola di emozione, di empatia e di slancio. Marco sembra non decollare mai. Sembra cadere nel vuoto. Sembra perdersi senza mai ritrovare una strada che lo riconduca ad una serenità certa, definitiva. Forse l'autore, Matteo Marchesini, vuole lasciare tutto in sospeso come una goccia che, cadendo dalle nuvole, non sa dove posarsi... . Una goccia che si abbandona alla sorte, che scorre senza fare il minimo rumore.
Jader Girardello 

26.4.13

ANATOMIA DI UNA FAMIGLIA

ANATOMIA DELLA RAGAZZA ZOO
di Tenera Valse
Il Saggiatore editore

LIBRO

Da una provincia del Sud che esala orrore fino a una Roma fantasmagorica, tra gli anni settanta e ottanta si consuma il dramma di una disintegrazione familiare. Ci sono due sorelle quasi gemelle e un fratello. C’è la madre. C’è il padre. Ci sono le bombe degli anni di piombo, preti e vicine pettegole sullo sfondo. Dietro una facciata di inappuntabile rispettabilità, come un Crono borghese il padre soffoca e tenta di divorare i tre figli con le sue ossessioni, li opprime, ne cerca l’annullamento. Alla crudeltà paterna si ribella la primogenita Alea, l’unica in grado di sfidarlo, somministrando il veleno che scioglierà il mistero all’origine di tanta violenza. Perché alla base di questo romanzo di formazione che si trasmuta in romanzo di deformazione c’è un trauma indicibile; ma cosa ci potrà mai essere di così orrifico nella crescita di una bambina normale in una famiglia normale da farla diventare ragazza zoo? Chi è la ragazza zoo? Alea ha venticinque anni quando scompare una vigilia natalizia: abbandona la famiglia e rinuncia ai crismi della vita borghese. Nessuno la cerca, nessuno denuncia la sua scomparsa: né i genitori, né il fratello che vive a New York, neppure la sorella Càmila, l’unica con la quale mantiene rapporti segreti. Alea si rifugia in un ambiente sotterraneo e cunicolare, il suo atelier, la cava dove realizza opere bizzarre e performance, impiegando in ogni modo il proprio corpo: come una messa in scena dei suoi ricordi d’infanzia, il sadomaso diventa esperienza della relazione amoreodio che ogni individuo instaura con il potere fin dalla nascita. Anonima a chiunque, vaga per la capitale libera da ogni costrizione, intrigata dalla bellezza dei monumenti e dagli uomini. Nessuno la turba come il padre e l’odio che cova contro di lui. Mentre le quinte del proscenio italiano iniziano a creparsi, tutto sembra dare ragione ad Alea, che ha disconosciuto la famiglia. È a questo punto che storia pubblica e privata si toccano, e tra padre e figlia si azionano meccanismi crudeli e si scoprono segreti inconfessabili. Scavando nelle ferite di una generazione con l’acume di una vitalità disperata, Tenera Valse intreccia racconto nero, pseudobiografia e percorso iniziatico, invitando il lettore a proiettare unosguardo impietoso sui fondamenti di un’intera società pronta al collasso. Con la storia di Alea, protagonista memorabile di questa prova narrativa travolgente, Anatomia della ragazza zoo racconta lo scontro di paradigmi storici, di generazioni e di universi culturali e psicologici, opponendo Materno a Paterno, Terra a Cielo, Desiderio a Piacere. Si aggirano qui gli spettri di Pasolini e Burroughs, si danno visioni alla Céline e giri di frase alla DeLillo: attingendo al canone novecentesco, Tenera Valse allestisce magistralmente un affresco storico e, nello stesso tempo, un noir dell’anima. Dove realtà e visione si fondono, lasciando erompere una tensione erotica sempre intensa, che oscilla tra estasi e disperazione, con ritmo stile e strutture che da sempre la grande narrazione pretende.
Tenera Valse ha pubblicato nel 2011 Portami tante rose (Cooper), libro manifesto sulla condizione della cultura e della donna in Italia, in cui narra la trasformazione di un’insegnante in prostituta. Caso mediatico piuttosto clamoroso, è un’artista colta, scandalosa, intervistata dalle più grandi testate italiane e straniere.


RECENSIONE
 
Quando un libro penetra nella carne e nelle ossa, nella mente e nel cuore, me ne accorgo perchè lo porto sempre con me, anche se non avrò tempo per leggere; me lo porto dietro come un talismano che aiuta ad affrontare la giornata.
Questo libro è così: potente, raffinato, di grande spessore culturale e perciò ricco di verità su cui riflettere. Una penetrante disamina dell'anatomia di una ragazza che cresce osservando le dinamiche della famiglia come un'entomologa.
Senza pudore alcuno, ma anzi, con tutta la feroce franchezza di una figlia ribelle all'inferno della sua casa, alla violenza del padre, la protagonista fugge da quel mondo apparentemente perbene e ripercorre le tappe della sua presa di coscienza delle dinamiche terribili che fondano i rapporti di forza all'interno del nucleo. Come lei fa il fratello, e per delle buonissime ragioni, come si scoprirà. Soltanto la sorella sceglie di costruirsi una vita “normale” e fare da sponda ai due genitori rimasti soli. La madre è l'anello debole più evidente, poiché ha cancellato se stessa all'ombra del “Dott. Prof. Preside” che ha sposato.
Pagine indimenticabili ci raccontano le strategie di questi figli, descrivono i genitori con una ricchezza di dettagli maniacale e una ricerca di neologismi e  che sbalordisce:
“un ergastolo illuminato dalla morte”, così definisce la vita della madre, che per questo si ammalerà. Su tutto campeggia il del padre padrone, figura che torna ossessivamente, come in una spirale che rivelerà risvolti sempre più inquietanti.
La famiglia che produce una ragazza zoo è “una pantomima, di cinque persone che si distruggono a vicenda con l'unico obiettivo di stare al mondo”. Il suo grido è quello del “maiale che piange prima di essere scannato” (v. anche il racconto di Vitaliano Trevisan, Testa di madre su cuscino). La vittima è sempre la donna perché “nei secoli la donna ha messo un filtro alla sua aggressività fino a camuffare il suo odio in compassione” (pp.338). Famiglia ammaestratrice di cagnolini di società.
Questo grido di dolore così colto e profondo, così ben scritto, si fa distinguere come uno dei libri migliori del panorama italiano di questi ultimi anni.
Paola C. 

8.4.13

Oh... che storia!

Oh...
di Philippe Djian
Voland Edizioni
traduzione di Daniele Petruccoli 


LIBRO

Un titolo enigmatico che ha il sapore di un’amara liberazione, o magari forse di una resa. Michele è una produttrice cinematografica di successo con un figlio, un matrimonio fallito alle spalle, una madre tutta rifatta e un padre che marcisce in galera. Una sera viene violentata da uno sconosciuto in passamontagna mentre rientra a casa e inizia così la sua lenta e inesorabile discesa agli inferi. Uno straordinario ritratto di donna, un romanzo politicamente scorretto, il racconto di una società che non merita salvezza.




RECENSIONE
 
Ha per titolo un monosillabo, un’esclamazione con puntini di sospensione. La stranezza dell’opera traspare già dal titolo, che sembra quasi sottolineare la sorpresa che suscita, accompagnata dalle perplessità che inevitabilmente ti lascia un’opera con queste caratteristiche.
Definirlo politicamente scorretto non rende l’idea.
Racconta, senza suddivisone in capitoli e in un’ininterrotta narrazione in prima persona, alcune settimane della vita della protagonista, una donna che ha trovato il successo professionale, ma attorno alla quale ruotano elementi di notevole criticità. Un ex marito che non si rassegna al proprio fallimento professionale, un figlio alla ricerca di una posizione in questo mondo, un amante che non accetta la conclusione del loro rapporto, un padre in carcere per aberranti reati, una madre anziana interamente ridisegnata dalla chirurgia plastica. Nel corso della narrazione si aggiungono sempre più inquietanti elementi di disturbo, in un susseguirsi di incredibili eventi che fanno crescere la tensione narrativa fino all’inverosimile eppure catartico finale.
L’opera inizia con la violenza sessuale subita da Michèle da parte di uno sconosciuto e subito ci si  chiede come farà l’autore a sostenere il racconto dopo un inizio di questo tipo. La risposta è che lo farà egregiamente, facendo calare la donna in un vortice di eventi sempre più estremi.
È un’opera volutamente provocatoria, in cui il contenuto perde di significato rispetto alla perfetta esibizione stilistica. L’abilità dell’autore e la potenza della scrittura rendono credibile una trama altrimenti inverosimile e irrilevante rispetto all’aspetto estetico.
Il contenuto, trattato come materiale indifferenziato, fa da contrasto alla forma. La scrittura brillante e scorrevole rende sopportabili descrizioni di fatti che altrimenti sarebbero unicamente oggetto di scandalo. La qualità della prosa dipinge in modo meno triste situazioni di assoluto nichilismo, rendendo quasi simpatici personaggi altrimenti insopportabili per il degrado in cui si lasciano trasportare.
Il finale è del tutto inaspettato rispetto alle premesse, di quelli che non si dimenticano.
Gioia M.

12.3.13

BARBABLÚ di Amélie Nothomb

BARBABLÚ
di Amélie Nothomb
Voland edizioni
Traduzione: Monica Capuani


LIBRO

Saturnine, giovane ragazza belga, cerca un alloggio a Parigi. Trova, per una cifra davvero modesta, un suntuoso appartamento da condividere con l’eccentrico proprietario, il Grande di Spagna don Elemirio Nibal y Milcar. Ma l’irriverente Saturnine non sa che otto donne prima di lei hanno abitato in quella magnifica casa, che hanno indossato abiti dai colori meravigliosi creati dalle mani di don Elemirio, e che di loro nessuno ha più notizie.
Un romanzo che rivendica il diritto ad avere dei segreti e che indaga i meccanismi dell’amore, il cannibalismo sentimentale e la doppiezza della natura umana.


La copertina ha un perché.
Qui siamo tornati a "IGIENE DELL'ASSASSINO".
Assolutamente imperdibile!


RECENSIONE
 
Si dice che la malizia è negli occhi di guarda. La malizia in questo caso è negli occhi di chi legge e vuole attribuire al testo della Nothmob un’intenzione certamente diversa da quella dell’autrice.
Non sono riuscita a non interpretare in chiave sociale questa variante della fiaba di Barbablu e pertanto la considero un inno contro il femminicidio e la violenza di genere.
Saturnine, la protagonista, riscatta le donne e ribalta tutti i clichè su questo tipo di situazione. Nobilita il genere femminile immergendosi pienamente negli archetipi della fiaba, anche in termini psicanalitici. Mi ha fatto peraltro rivalutare un testo non compreso nell’adolescenza, ma molto letto e citato, Donne che corrono con i lupi di C.P. Estès, dove la fiaba serve a spiegare il concetto di “predatore innato della psiche” e non ha più l’intento pedagogico di Perrault di ammonimento contro la troppa curiosità.
Saturnine si immerge pienamente negli stereotipi di genere, ma è anche capace di ribaltarli. In un ininterrotto dialogo, dall’inizio alla fine del libro, impone la sua parte razionale al “mostro” e si riappropria del suo destino, pur cedendo alla tentazione di innamorarsi del misterioso uomo che la ospita, perché “innamorarsi è il fenomeno più misterioso dell’universo”.
Imponendo la sua forte personalità al nobile spagnolo, Saturnine produce una reazione alchemica e trova la sua pietra filosofale, che la trasforma da vile metallo in oro. 
Gioia M.

10.3.13

Non tutti i bastardi...

NON TUTTI I BASTARDI SONO DI VIENNA
di Andrea Molesini
Sellerio editore
 

LIBRO

Villa Spada, a un tiro di voce dal Piave, nei giorni della disfatta di Caporetto diventa dimora del comando austriaco e teatro di un dramma romantico e patriottico disteso su un fondo nascosto di miserie. Un apologo malinconico sull’illusione degli eroi.

Premio Campiello 2011, Premio Comisso 2011, Premio Latisana per il Nord-Est 2011, Premio Città di Cuneo 2011



RECENSIONE

Mi piace il lessico un po' dotto di Molesini, ben adatto, per altro, all'epoca dei fatti narrati.
E mi è piaciuto lo svolgersi della vicenda, in un coinvolgimento del lettore via via crescente.
Uno di quei casi in cui vorresti ricominciare non appena finito, per cogliere sfumature, veder rivivere i protagonisti, capirli meglio.
Tutti ottimamente tratteggiati, tutti riconoscibili, tutti dotati di una loro personalità.
Lascio Villa Spada, con un po' di tristezza e senza voltarmi indietro.
Simone D.

9.3.13

ACCADE A VILLA ADA in ROMA

DELITTO A VILLA ADA
di GIORGIO MANACORDA
Ed. Voland

LIBRO:

A Villa Ada viene ritrovato il cadavere di un famoso poeta che viveva nel parco romano come un barbone. Conduce le indagini un commissario giovane e colto, poeta egli stesso, che non riesce però a venire a capo dell’ingarbugliata faccenda e rinuncia all’incarico consegnando la pratica nelle mani del Questore di Roma. Fra i tanti misteri che affiorano dagli interrogatori dei personaggi che frequentano la villa, uno campeggia insoluto e decisivo: la macchina da scrivere d’oro appartenuta al poeta ucciso. Un oggetto magico che, come la lampada di Aladino, farebbe scrivere a chi la usa grandi poesie. Si tratta di un movente plausibile? Forse, ma che fine ha fatto?... Una fiaba noir sulla poesia, sui poeti, sui tormenti della creatività, sulle invidie che possono portare a gesti estremi anche esseri tra i più distanti dalla realtà, i più astratti e sognanti, persi dietro i propri desideri di gloria. 






RECENSIONE:
In un passaggio dai versi alla narrativa, Giorgio Manacorda mantiene la poesia fermamente protagonista del romanzo. Un noir, che pertanto non può essere commentato fino in fondo, per non rovinare la sorpresa ad altri lettori. Un giallo ambientato tra chi fa jogging nel parco di villa Ada; giallo con movente poetico, dove la vittima è un famoso poeta che vive da clochard nel parco, esprimendo pienamente la propria vocazione artistica lontano dalle convenzioni sociali. Il cadavere viene trovato da un altro poeta, Manacorda stesso, scrittore vero, di quelli che pubblicano libri e “in odore di Nobel”. Anche i vari sospettati si dilettano a scrivere poesie o qualcosa di simile, confermando che la poesia tutti la scrivono e nessuno la legge. E allora perchè uccidere un poeta? Questo gesto viene definito eclatante ed inutile dal primo poliziotto che si cimenta nell’indagine, anch’egli poeta dopo il lavoro per farsi perdonare dai genitori sessantottini la scelta professionale poco consona ai loro sogni rivoluzionari. Dopo i primi interrogatori delle persone che corrono nel parco di prima mattina, in cui tutti si presentano in un modo corale che ricorda Il mio nome è rosso di O. Pamuk, il commissario abbandona l’indagine. Toccherà al Questore di Roma raccapezzarsi nell’intricata vicenda, dove tutti saranno sospettati, autore e forze dell’ordine compresi. Sarà il Questore ad addentrarsi nel mondo dei poeti, animali in via di estinzione come gli scoiattoli di Villa Ada, soppiantati da quelli americani. Nel corso dell’indagine scoprirà che il mondo dei poeti è un mondo rovesciato, alla Chagall, così come è rovesciato il finale, niente affatto scontato. Tutto ruota attorno alla ricerca di una fantomatica macchina da scrivere d’oro, con poteri taumaturgici, che consente al suo possessore di guarire dalla sterilità artistica. Per ottenere questa "lampada di Aladino" delle lettere, un poeta potrebbe uccidere perché <i poeti sono tutti potenzialmente dei criminali e più sono intelligenti più sono pericolosi>.
Un’opera autoironica e non celebrativa, a tratti surreale, con riferimenti culturali importanti, che va letta fino alle ultime pagine per svelare tutti i suoi enigmi
Gioia M.

4.2.13

PETER CAMERON E IL DOLORE

 UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARÁ UTILE

di Peter Cameron
Adelphi


LIBRO

James ha 18 anni e vive a New York. Finita la scuola, lavoricchia nella galleria d’arte della madre, dove non entra mai nessuno: sarebbe arduo, d’altra parte, suscitare clamore intorno a opere di tendenza come le pattumiere dell’artista giapponese che vuole restare Senza Nome. Per ingannare il tempo, e nella speranza di trovare un’alternativa all’università («Ho passato tutta la vita con i miei coetanei e non mi piacciono granché»), James cerca in rete una casa nel Midwest dove coltivare in pace le sue attività preferite – la lettura e la solitudine –, ma per sua fortuna gli incauti agenti immobiliari gli riveleranno alcuni allarmanti inconvenienti della vita di provincia. Finché un giorno James entra in una chat di cuori solitari e, sotto falso nome, propone a John, il gestore della galleria che ne è un utente compulsivo, un appuntamento al buio... I puntini di sospensione sono un espediente abusato, ma in questo caso procedere oltre farebbe torto a uno dei pochi scrittori sulla scena che, come sa bene chi ha amato Quella sera dorata, chiedono solo di essere letti. Anticipare le avventure e i pensieri di James rischierebbe di mettere in ombra la singolare grazia che pervade questo libro, e da cui ci si lascia avvolgere molto prima di riconoscere, nella sua ironia inquieta e malinconica, qualcosa che pochi sanno raccontare: l’aria del tempo.


RECENSIONE

Chi di noi non ha vissuto il fastidio sottile di sentire le aspettative dei genitori, il loro fiato sul collo? E perchè mai dovremmo basare le nostre scelte su ciò che si aspettano da noi?
Questi fondamentali interrogativi percorrono il romanzo-diario di Cameron, che disegna un protagonista memorabile, un diciottenne restio ai contatti umani, specialmente quelli caratterizzati dalla ricerca di cose banali e dall'unica preoccupazione di stare in qualche modo sotto i riflettori, di avere successo, non importa su quali basi. Intorno a lui una madre all'ennesimo fallimento matrimoniale, una sorella brava-figlia, un padre lavorocentrico, e finalmente una nonna accogliente e rispettosa, presso la quale James ogni tanto si rifugia.
Con l'attenzione di un entomologo il protagonista ci racconta un percorso, fatto di dialoghi mirabili e di una rara capacità di zoomare su dettagli rivelatori. Ci tiene incollati alla pagina come se stessimo leggendo il più affascinante dei gialli, con la fluidità propria della migliore letteratura.
Paola C.

2.2.13

NORD-ESTERO

LE FOTO DELLA SERATA DI PRESENTAZIONE
1°FEBBRAIO 2013 | PALAZZO CORDELLINA (VI)

30.1.13

FUGGIRE DALLA CITTÁ CON... CASACCA!

TANTI MODI DI FUGGIRE DA UNA CITTÁ
di Stefano Casacca
Gorilla Sapines Editore
pp. 272 -  € 14,00


LIBRO

Liber è un uomo in fuga, anzi no, è un uccello. Liber è un uomo libero, anzi no, è un assassino. Liber è uno solo, anzi no, Liber sono tanti.
Un personaggio ricorrente, che come nei sogni attraversa città e dimensioni, tracciando ogni volta una storia diversa. Si ramificano così molteplici possibilità di vita e di narrazione.
Liber è un personaggio che fugge dalle situazioni difficili, dai ricordi dolorosi, dalle città caotiche, ma ogni fuga non è altro che l’inizio di un viaggio.
E così Liber sfugge alle trame dei racconti, si maschera da vecchio, da uomo volante, da miglioratore del mondo, da bambino sognante. Ogni alter ego racconta una storia in più.
Trasformarsi, mutare, viaggiare, raccontare: tutto ciò permette a Liber di tenere fede al suo nome, di restare un essere libero.
Tanti modi di fuggire da una città è un viaggio letterario e poetico a metà tra città reali e dimensioni interiori.



RECENSIONE
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Una raccolta di racconti, collegati da un personaggio che ricompare, dal nome significativo, Liber. Lui si trova nelle situazioni più disparate, vi è un'alternanza asimmetrica tra momenti di riflessione e momenti di azione. Ma non si tratta di una narrazione che segua eventi, il lettore si trova in difficoltà a seguire i passaggi e l'effetto che rimane- soprattutto nei racconti più lunghi- è quello di una certa confusione di fondo. Immagino che tutto ciò sia voluto dall'autore, ma non giova al lettore.
I racconti più brevi, come “Acqua cielo e terra”, “Wanderlust” “Io e la mia casa”,
sono i più riusciti, grazie a un equilibrio interno che li rende capaci di vita propria.
Quelli più lunghi invece necessitano di uno sforzo per tenerli insieme, per capire dove vanno a parare e se c'è un filo conduttore da seguire.
Tuttavia in tutto il libro ci sono pagine pregevoli, perchè la qualità della scrittura tende verso l'alto, soprattutto nei momenti in cui l'autore si ferma a guardare da vicino una scena da raccontare: ne riceviamo parole colme di grazia ed eleganza.
Paola C.

24.1.13

WUH! - racconti della notte

WUH!
di Andrea Paolucci
Gorilla Sapiens editore
Collana: Caramella Acida

LIBRO
Una raccolta di racconti per esplorare il mondo della discoteca, con le sue luci e, soprattutto, i suoi punti d’ombra. Stralci di vite movimentate, sempre all’affannosa ricerca del puro divertimento, ma anche costrette a confrontarsi con realtà difficili. Con leggerezza e ironia talvolta pungente, Andrea Paolucci tratteggia a rapide e intense pennellate gli universi paralleli di ragazzi un po’ sbandati, ma a modo loro onesti e di buona volontà! Il tutto raccontato con un linguaggio sorprendente, preso dalla strada e lavorato con fantasia e originalità uniche.

Dalla quarta:
Ci sono amicizie difficili, soldi facili, strade di periferia e serate storte. E magari in una serata storta ti perdi tutto: gli amici i soldi la strada. Per ritrovarli andresti ovunque, prenoti un biglietto per l’universo. E parti alla velocità della luce strobo, viaggi sulla spinta propulsiva della musica tecno. L’universo è dentro una pasticca che vorticosamente ruota sulla lingua; e quella striscia di polvere bianca è senza dubbio la coda di una cometa. [...]


L'ABBIAMO LETTO E...
Andrea Paolucci sa come conquistare l'attenzione di un lettore. La prosa coinvolgente porta il lettore dentro la storia, nel puro sballo della droga. Paolucci è sincero, avvincente. Si riesce ad entrare nelle vicende, sembra quasi di provare tutta quella frenesia di una serata in discoteca: luci colorate, ammassi di corpi sudati, spacciatori poco raccomandabili, tossici in cerca di droga... Nell'estasi i personaggi ritrovano la loro dimensione. Seguono la musica, vanno oltre l'universo sensibile.  Essi agiscono di pancia. È l'istinto che li muove. La ragione prende la parola solo alla fine quando i giochi sono già stati fatti, quando tutto ritorna alla calma del giorno. 

In “Wuh!” la notte regna sovrana. I personaggi sono stelle comete: brillano per poi unirsi con l'oscurità che li ha generati. Sono universi che si aprono verso l'infinito, sono pianeti alla ricerca di nuove orbite da esplorare, sono il viaggio all'interno del caos della quotidianità. Riescono a cogliere il kairòs, l'attimo che fugge  con una paradossale dose di folle lucidità. “Wuh!” è esplorare il proibito, buttarsi nell'eccesso, cogliere la dilatazione dello spazio e   del tempo. Le luci della città si tuffano nella notte. La discoteca diventa il tempio del sacro e del profano in cui eccesso e peccato si mascherano, assumono forme diverse, danzano nel ballo delle apparenze. La Musica batte il ritmo del mondo, dei corpi eccitati, del sesso facile pronto a scatenarsi in pista. La musica tecno  unisce i vari racconti perché è lo sfogo, la rabbia, la voglia di liberarsi dal peso della vita quotidiana di questi personaggi. Ognuno cerca la sua libertà o come dice  Paolucci i suoi “paradisi personalizzati”, paradisi a volte costruiti con l'illusione della droga. Sono paradisi difficili perché hanno sfumature oscure. Perché dalla realtà non si può sfuggire ma bisogna affrontarla con coraggio e con volontà. Lo sanno bene Rick e Nico, i protagonisti del racconto “Cento e non più cento”, che,dopo essere riusciti a vendere la loro droga durante il party in discoteca, si accorgono che quella non è la loro vita. Essere arrestati dalla polizia è un incubo e la droga non dà potere ma solo incertezze sul futuro.

Sono trame avvincenti quelle intessute dall'autore. Strizzano l'occhio alla follia. Forse è per questo che piacciono. 
L'eccesso e l'oscurità attraggono. Ammaliano perché sono intrise di mistero. E il mistero è nascosto nell'angolo poco illuminato di un lampione. Il lettore può  partire insieme alla navicella dei folli. Può proseguire il suo viaggio per le strade impervie di una Roma ambigua, terribile ma, nello stesso tempo, affascinante. Esiste allora una morale dietro a tutte queste storie di frenesia e  sballo? La domanda trova risposta forse alla fine del libro quando Armando, un ragazzo abituato alle serate in discoteca, si va a confessare dal prete citando in causa Dio. Armando dice che “Dio vede ogni cosa e sa tutto, quindi, anche se mi passo le discoteche con un arsenale di droga e compagnia bella, sa pure che sono un bravo ragazzo. Almeno lo spero. I conti li farò con lui alla fine.” Armando si rivolge a Dio in modo personale ed intimo. Sa che, per espiare le sue colpe, non c'è bisogno solo di un prete e della sua benedizione ma anche di una riflessione sincera e vera nei confronti di se stesso. Un sé che, pur annebbiato dalla droga, cerca comunque di ritrovarsi anche nei meandri oscuri e nelle strade difficili che la vita ci porta ad affrontare. È un Io che deve ritrovare la sua autenticità anche se persegue la via sbagliata. Le pecorelle smarrite possono ritrovare la luce. Non è forse questo il messaggio cristiano?

Unico lato che forse è stato trattato marginalmente nel libro è la difficile condizione dei tossicodipendenti. È facile cascare nel tunnel della droga ma è molto difficile uscirci. Sarebbe stato bello raccontare le disavventure, le difficoltà che provano quei ragazzi nel cercare di superare lo scoglio della dipendenza.  In “Wuh!” quello che manca è forse una storia di speranza, di rivalsa, di indipendenza dalle sostanze stupefacenti. Si può vivere anche senza. Ci si può “fare di vita” e di entusiasmo. Per il resto Paolucci è un abile scrittore. Attendiamo con curiosità il suo nuovo lavoro.

                                                                                                                                    Jader G.






2.1.13

L'AMICA GENIALE DELLA FERRANTE

L'AMICA GENIALE
di Elena Ferrante
E/O edizioni



STORIA

L'amica geniale comincia seguendo le due protagoniste bambine, e poi adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia napoletana, tra una folla di personaggi minori accompagnati lungo il loro percorso con attenta assiduità. L'autrice scava intanto nella natura complessa dell'amicizia tra due bambine, tra due ragazzine, tra due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i buoni e i cattivi sentimenti che nutrono nei decenni un rapporto vero, robusto. Narra poi gli effetti dei cambiamenti che investono il rione, Napoli, l'Italia, in più di un cinquantennio, trasformando le amiche e il loro legame. E tutto ciò precipita nella pagina con l'andamento delle grandi narrazioni popolari, dense e insieme veloci, profonde e lievi, rovesciando di continuo situazioni, svelando fondi segreti dei personaggi, sommando evento a evento senza tregua, ma con la profondità e la potenza di voce a cui l'autrice ci ha abituati... Non vogliamo dirvi altro per non guastare il piacere della lettura. Torniamo invece all'inizio. Dicevamo che L'amica geniale appartiene a quel genere di libro che si vorrebbe non finisse mai. E infatti non finisce. O, per dire meglio, porta compiutamente a termine in questo primo romanzo la narrazione dell'infanzia e dell'adolescenza di Lila e di Elena, ma ci lascia sulla soglia di nuovi grandi mutamenti che stanno per sconvolgere le loro vite e il loro intensissimo rapporto. Altri romanzi arriveranno nel giro di pochi mesi, per raccontarci la giovinezza, la maturità, la vecchiaia incipiente delle due amiche.


NOTA SULL'AUTRICE

Elena Ferrante è autrice di un romanzo di grande successo, L’amore molesto, da cui Mario Martone ha tratto il film omonimo. Dal romanzo successivo, I giorni dell’abbandono, è stata realizzata la pellicola di Roberto Faenza. Nel volume La frantumaglia racconta la sua esperienza di scrittrice. Nel 2006 le Edizioni E/O hanno pubblicato La figlia oscura e nel 2007 La spiaggia di notte.


RECENSIONE
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Avete mai provato quella gioia intima dell'isolarsi dal mondo per leggere, nascosti da qualche parte?
Il libro che vi ha dato questa esperienza di sicuro non l'avrete dimenticato.
Se invece non vi è mai capitato, ecco il romanzo che fa per voi: un racconto con personaggi potenti e definiti, come nei romanzi dell'ottocento. Storia di due amiche, in perenne confronto reciproco, che crescono assieme nel rione povero di Napoli, dandosi due comandi interiori diversi: una cercherà di diventare ricca col matrimonio- ma il suo temperamento geniale e ribelle ci riserverà molte sorprese; l'altra punterà tutta se stessa sulla carriera scolastica e il riscatto che viene dalla preparazione culturale, ma anche qui gli ostacoli la metteranno a dura prova. Intorno a loro le famiglie, con tutto il corredo di possibili risvolti legati a rivalità e lotte per il potere. La creazione di un paio di scarpe farà da fulcro agli eventi futuri- che arriveranno col secondo libro (Storia dell'altro cognome).
Perciò, quando vedete che state arrivando alla fine, non fatevi prendere dal rimpianto: in libreria c'è già il proseguimento della storia.
Qui la Ferrante- invisibile scrittrice di cui si favoleggia sull'identità- dimostra come il talento sia sempre la base di una scrittura Letteraria: questa è ottima Letteratura, pagine indimenticabili, atmosfera di dolcezza che ci accompagna per tutta la lettura.
Paola C